I Jet dell’U.S. Army (1956-1961) e la battaglia Army-USAF sul Close Air Support

“E’ mia ferma convinzione che le Forze Aeree non abbiano alcun interesse nei confronti del supporto tattico ravvicinato. Esse pensano che sia una pratica infruttuosa e sono inoltre assai preoccupate del fatto che reparti di volo possano finire sotto il controllo delle forze di terra. Il loro interesse, entusiasmo ed energia sono diretti verso altri settori.” – John J. McCloy. Sottosegretario alla Guerra, in merito alle operazioni CAS dell’USAAF durante la Campagna in Nord Africa (1943)

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Uno dei motivi del mio maniacale interesse verso la U.S. Army Aviation risiede nella sua storia, breve ma assai affascinante e ricca di episodi importanti per lo sviluppo dell’ala rotante, ma non solo. In particolare, il periodo che va dalla seconda meta’ degli anni cinquanta, sino alla prima meta’ degli anni settanta, fu un continuo susseguirsi di innovazioni, sia tecniche che dottrinali.

In questo ventennio la flotta elicotteri passa di gran carriera dai radiali alle turbine, incrementando notevolmente sia le prestazioni, che le capacita’. I piccoli aerei da osservazione L-19 vengono gradualmente ritirati dal servizio e rimpiazzati dai moderni LOH (Light Observation Helicopter) come l’OH-6 e l’OH-58, oltre che dal ben piu’ pesante e OV-1 Mohawk, aereo STOL nato per la sorveglianza sul campo di battaglia e la ricognizione armata. Vengono inoltre introdotte macchine innovative come lo Huey (1956), il Chinook (1962) e il Cobra (1965), primo elicottero d’attacco specializzato della storia. Il magnifico ventennio si conclude con la nascita di due altri formidabili mezzi: l’UH-60 Black Hawk (1974), sostituto biturbina dell’UH-1, e infine l’AH-64 Apache (1975),  espressamente concepito per la lotta controcarri in Europa Centrale.

Da un punto di vista dottrinale e operativo, nascono i concetti di Airmobility e Air Cavalry, entrambi originati fra gli anni ’50 e ’60 e testati con successo in Vietnam assieme a nuove specialita’ come la Aerial Rocket Artillery (ARA), ossia il braccio aereo dell’artiglieria campale equipaggiato con elicotteri armati di lanciarazzi e missili controcarro. Parlando invece di evacuazione sanitaria, questa compie un decisivo salto di qualita’ grazie alla riorganizzazione dei reparti di ambulanza aerea e alla nascita dei leggendari Dustoff, anche questi legati alle vicende belliche nel Sud Est Asiatico. Vengono inoltre creati reparti di volo specializzati nel SIGINT (Signal Intelligence) e nell’ELINT (Electronic Intelligence) incaricati della raccolta e dell’intercettazione delle comunicazioni radio e dei segnali elettronici. Emergono infine il volo tipo NoE (Nap-of-the-Earth) e notturno con apparati FLIR (Forward Looking InfraRed) e occhialoni NVG (Night Vision Goggle), introdotti ufficialmente nei corsi di pilotaggio nel 1975.

Insomma, ce ne sarebbe da raccontare per pagine intere.

Un capitolo dell’U.S. Army Aviation che invece e’ poco conosciuto, riguarda le attivita’ sperimentali con aviogetti svolte fra il 1956 e il 1961. Cinque intensi anni che portarono l’esercito ad un passo dall’ottenere una propria componente jet ad ala fissa.

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Sempre alla ricerca di nuovi modi di supportare le truppe di terra dall’aria, la assai dinamica U.S. Army Aviation inizio’ ad interessarsi ai jet poco dopo la fine della Guerra di Corea. Il primo modello preso in seria considerazione fu il minuscolo T-37 Tweet, un addestratore bimotore costruito dalla Cessna di Wichita (Kansas), azienda che fino ad allora era conosciuta sopratutto per gli aerei da turismo. Dopo oltre un anno di studi di fattibilita’, l’esercito diede ufficialmente il proprio benestare il giorno 31 Ottobre 1956. Nell’aviazione c’erano pero’ non poche perplessita’ e non tutti gli ufficiali furono persuasi dall’idea. Anzi, qualcuno penso’ bene di agitare il famigerato Pace-Finletter Memorandum (Novembre 1952), che fra le altre cose imponeva all’U.S. Army il divieto di acquisire aeromobili ad ala fissa con un peso a vuoto superiore alle 5000 libbre, ossia poco meno di 2300 kg (fortunatamente, il T-37 era ben al di sotto delle due tonnellate).

Il programma sperimentale dei Tweet era noto ufficialmente come High Performance Army Observation Aircraft (HPAOA), ma per tutti fu sempre e solo Project LONG ARM. Sponsorizzato dall’Army Aviation Test Board e dalla Aviation Combat Development Agency, il progetto doveva sostanzialmente verificare l’idoneita’ dell’aereo jet in compiti quale osservazione e direzione tiro artiglierie, ricognizione tattica e (in misura minore) Close Air Support all’interno di unita’ dell’esercito.

A dispetto della assurda polemica montata dall’aeronautica, lo U.S. Army non aveva alcuna intenzione di “rubare” il mestiere ai colleghi con l’uniforme blu. L’unica cosa che realmente desiderava era ottenere quel tanto di autonomia necessaria a fornire appoggio dall’aria ai propri uomini senza dover per forza passare attraverso la catena di comando di un’altra forza armata. Dopotutto, i cugini Marines da decenni potevano contare su una propria componente aerea che includeva una poderosa forza di aerei da combattimento, spesso dello stesso tipo in dotazione alla U.S. Naval Aviation.

I criteri di selezione del nuovo aereo erano tutto sommato pochi: semplicita’, dimensioni contenute, robustezza, capacita’ di operare da piste semipreparate e, last but not least, basso costo d’acquisto e di esercizio (l’esercito USA in quegli anni disponeva di un budget estremamente limitato). In poche parole, l’US Army voleva tutto tranne che un grosso, pesante e complicato aviogetto (di quelli che piacevano tanto all’USAF, insomma)

t37aformNella prima meta’ degli anni cinquanta erano davvero pochi i modelli in grado di soddisfare tali requisiti. L’aviogetto che piu’ si avvicinava alle esigenze dell’esercito era appunto il Cessna T-37, velivolo che fra l’altro era stato appena selezionato dall’US Air Force quale addestratore primario. L’intenzione dell’esercito era quella di acquistare una decina di macchine direttamente dalla casa madre. Macchine che ovviamente avrebbero fatto parte della flotta aerea U.S. Army. Semplice, no? Non proprio, visto che ogni tentativo di acquisizione fu bloccato da alti ufficiali e politici, a partire dal Generale Nathan Twining, allora Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, fino ad arrivare ai Segretari all’Aeronautica Harold E. Talbott e alla Difesa Charles E. Wilson. Quest’ultimo, in poche parole, disse che si trattava di una una questione che avrebbero dovuto risolvere i Capi di Stato Maggiore. Come se cio’ non bastasse,  l’US Army non riusci’ ad ottenere in sede politica alcun appoggio da parte di Navy e Marine Corps.

Insomma, dopo lunghe trattative, fu la poco accomodante USAF a fornire i T-37 all’esercito per il progetto Long Arm. Ma anche qui ci fu un’ulteriore doccia fredda: dei dieci aerei richiesti, l’US Army ne ottenne in realta’ solo tre. La consegna avvenne il 2 Novembre 1956 presso Ozark Airfield, a Fort Rucker, Alabama. I tre aerei portavano le vistose insegne U.S. ARMY nel muso e nelle ali, piu’ il simbolo del Project Long Arm sullo stabilizzatore verticale.

Queste tre macchine furono soprannominate dall’esercito come le caravelle di Cristoforo Colombo:

– Nina (matricola 56-3465);
– Pinta (56-3466)
– Santa Maria (56-3464).

Il 5 Novembre, il piccolo reparto di T-37 venne attivato nell’ambito della III Armata come 7292nd Aviation Unit.

Mentre i T-37 operavano dai campi di aviazione di Rucker, il quartiergenerale del Project Long Arm si trovava invece ubicato nella vicina Fort McPherson, in Georgia.

Secondo le istruzioni dell’esercito, i tre aerei furono modificati attraverso l’installazione di una fotocamera per ricognizione tipo Hycon KA-20 e di un radiofaro DPN-31. Questi dispositivi, tuttavia, furono installati solo a partire dal Luglio 1957, ossia con ben quattro mesi di ritardo rispetto alle previsioni iniziali.

LE FASI DI LONG ARM

Il Project Long Arm si snodava in varie fasi che andavano dall’addestramento degli equipaggi, sino alle esercitazioni vere e proprie con reparti di manovra. Tali attivita’ portarono in seguito ad un ulteriore approndimento del programma, che toccava aspetti piu’ specifici come i requisiti organizzativi, le procedure operative e le valutazioni sulla vulnerabilita’ e la sopravvivenza sopra al campo di battaglia.

La prima fase si tenne presso Fort Rucker e strutture della Cessna (a Wichita) fra la primavera e l’inverno del 1957, mentre le attivita’ di valutazione degli aerei fu condotta nei successivi due anni in diverse basi dell’esercito. Ad esempio, le esercitazioni con unita’ di fanteria avvennero presso Fort Benning (Georgia), quelle a supporto di unita’ corazzate a Fort Knox (Kentucky). mentre a Fort Sill (Oklahoma) vi furono le attivita’ di aerocooperazione con l’artiglieria.

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Le attivita’ di volo furono condotte sia di giorno, che di notte, ad altitudini comprese fra i 50 e i 20 mila piedi. L’attivita’ principale fu il supporto alle unita’ di artiglieria, ma i piloti si occuparono anche di altri compiti come la scoperta, localizzazione e identificazione di bersagli per conto delle forze di terra, cosi’ come missioni di damage assessement e ricognizione tattica. I T-37 presero anche parte ad almeno un paio di massicce manovre denominate CUMBERLAND HILLS (19-30 Maggio 1958) e GRAND BAYOU, entrambe contraddistinte da un largo impiego di truppe e innumerevoli mezzi di terra e di aria. Gli aerei avrebbero dovuto prendere parte anche una terza esercitazione a Fort Polk (Louisiana) nell’Aprile 1958, ma i piani furono cancellati nel Novembre 1957 per mancanza di fondi (per la cronaca, si trattava delle manovre GULF STREAM).

Il Tweet si comporto’ nel complesso piuttosto bene e riusci’ a soddisfare tanto i vertici militari, quanto gli equipaggi che li pilotarono. A titolo di esempio, riporto qui di seguito un breve stralcio del rapporto del Ten. Col.  Johnson del Department of Tactics and Combined Arms (DTCA):

“Tests indicate that the T-37 is a suitable observation plane for artillery surveillance, target acquisition, adjustment of fire, and assessment of target damage of medium and long range artillery. The speed of the aircraft did not prevent a detailed search of a ground area of interest, nor did the speed preclude the gathering of accurate data on ground targets. Most personnel taking part in this test were impressed with their own ability to observe when traveling at low altitudes (50 to 200 feet) and high speeds. Extensive formal aerial observer training is not necessary to produce competent aerial observers. However, it pays to have aerial observers trained in jet aircraft and then assigned to an appropriate TOE position. The T-37 and the L-19 complement each other–neither is a substitute for the other–and continued development and testing of tactics, techniques, and employment of high performance observation aircraft are necessary.” – February 1958

L’US Army Aviation Board e l’Aviation Combat Developments Agency, dal canto loro, espressero valutazioni simili al DTCA. In effetti, l’unico serio problema riscontrato riguardava la mancanza dell’apposito set di radio FM per comunicare direttamente con gli uomini a terra. Si deve pero’ tener conto che questi aerei non prevedevano tali apparati in quanto semplici trainer e quindi con le dotazioni ridotte al minimo indispensabile (al di fuori delle modifiche prima descritte). Non per niente le specifiche HPAOA suggerivano l’installazione di un apposito apparato di comunicazione a modulazione di frequenza.

I test proseguirono sino ai primi mesi del 1960, quando il progetto LONG ARM venne definitavamente sospeso. Il piccolo reparto su T-37 fu sciolto il 23 Aprile dello stesso anno e gli uomini e i piloti riassegnati ai precedenti incarichi. L’USAF, dopo aver collaborato con l’esercito fornendo gli aerei, nei fatti impedi’ a quest’ultimo di proseguire oltre le fasi di test e valutazione. E lo fece in sede non solo militare, ma anche politica. Le pressioni furono molto forti e contro un aviazione dominata da figure come Curtis LeMay (allora vice capo di stato di maggiore) l’U.S. Army non pote’ fare altro che abbandonare l’idea di dotarsi del T-37. In effetti, tale decisione  venne presa gia’ nel 1959, come riporta A History of Army Aviation, Phase II 1955-62 di Richard P. Weinert (p. 165):

Long before the aircraft were returned to the Air Force, however, the Army had lost interest in Project LONG ARM. The Department of the Army was convinced that Air Force opposition had so influenced the thinking of the Joint Chiefs of Staff and the Department of Defense that it was not feasible to pursue the project.

Ad ogni modo, nonostante il Project LONG ARM alla fine porto’ ad un nulla di fatto, l’US Army apprese alcuni importanti lezioni, come riporta ancora una volta Weinert:

The purpose of the troop test was to determine the organization, tactics, and techniques of employment of medium observation aircraft in support of tactical operations of the field army. The objectives were: to determine the most effective organization, the training and logistical implications for higher performance observation aircraft within the field army, and to prepare tentative training literature; to obtain an evaluation of higher performance observation aircraft vulnerability and survival probability; to determine the relative observation capabilities at various altitudes and speeds in day and night operations; and to develop and test operational procedures for target acquisition, damage assessment, surveillance, and adjustment of fire by higher performance Army obsservation aircraft. The test was not conducted as an evaluation of the merits of the T-37, but of the concept of operation of an aircratt which generally performed in a manner similar to the T-37.

Nell’Ottobre del 1959 l’US Army venne inoltre equipaggiato con un nuovo, modernissimo aereo: il bimotore turboelica Grumman OV-1 Mohawk. Questo modello si rivelo’ in seguito una straordinaria e versatile piattaforma per la sorveglianza sul campo di battaglia e la ricognizione armata.

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Fine della storia? Neanche per sogno. L’U.S. Army non abbandono’ affatto l’idea dei jet e, anzi, decise di spingersi oltre, sfidando apertamente l’USAF nel proprio campo: gli aviogetti tattici.

Nel 1961 l’Amministrazione Kennedy si era appena insediata nella Casa Bianca, rivoluzionandola da cima a fondo. Il ruolo di Segretario alla Difesa era occupato da Robert McNamara, un controverso ma brillante ex ufficiale dell’USAAF, che prima di entrare nel team di JFK aveva scalato i vertici della Ford Motor Company fino a diventarne presidente, sebbene per brevissimo tempo. Freddo, calcolatore, ma molto risoluto, McNamara fu da subito un prezioso alleato dell’aviazione dell’esercito, che contribui’ di fatto ad espanderla e a dare carta bianca agli alti ufficiali piu’ innovativi e progressisti che da anni stavano lottando non solo contro lo strapotere dell’Air Force, ma anche contro quei generali dell’esercito che vedevano aerei ed elicotteri come costosi “giocattoli” dalla discutibile utilita’ militare. Anche il concetto di “Risposta Flessibile” e il rinnovato interesse verso le operazioni non convenzionali e i conflitti a bassa densita’, contribuirono a riportare l’esercito e la sua aviation di nuovo al centro dell’attenzione.

In una lettera aperta alle Forze Armate USA, Kennedy disse a proposito:

“The military challenge to freedom includes the threat of war in various forms, and actual combat in many cases. We and our allies can meet the thermonuclear threat. We are building a greater “conventional deterrent capability.” It remains for us to add still another military dimension: the ability to combat the threat known as guerrilla warfare.”

Insomma, per farla breve, nel 1961 l’US Army era nuovamente alle prese con aviogetti e con la vexata quaestio del CAS.  Questa volta c’era in ballo anche un nuovo programma sperimentale conosciuto con il nome in codice di LOW-ENTRY, che verteva fra le altre cose sui voli di ricognizione in profondita’ ad alta velocita’ e a quote basse.  Per “quote basse” l’esercito intendeva altitudini attorno ai 100 piedi (30 metri). Durante alcune iniziali valutazioni condotte con il biturboelica OV-1 Mohawk nel 1960, fu rilevato che sorvolando senza ausilio radio un terreno non familiare a oltre 170 nodi e ad una quota di 100 piedi, un pilota era soggetto a livelli di stress tali da fargli perdere fino a quasi due kg di peso in appena un’ora di volo, ossia piu’ di quanto perse il Colonnello John Glenn durante le tre orbite attorno alla terra.

I rigori di un simile profilo di volo portarono l’esercito a chiedersi quali fossero i limiti di sopportazione per un essere umano. Ad esempio, per quanto tempo un pilota avrebbe potuto sostenere questo tipo di regime? Quante sortite avrebbe potuto compiere in un giorno? Quale erano le probabilita’ di sopravvivenza in combattimento? Oppure ancora, c’erano soluzioni per facilitare le cose a piloti ed equipaggi?

Rispondere a queste e altre domande era compito degli uomini e delle donne assegnati al progetto Man-Machine, sponsorizzato dal CONARC (Continental Army Command) e nato sotto gli auspici dell’Ufficio Risorse Umane (HumRRO) della base di Fort Rucker. L’HumRRO fu costituita come agenzia non-governativa nel 1952 grazie ad un accordo fra la George Washington University e l’US Army. All’epoca vi erano cinque distaccamenti dell’HumRRO in altrettante installazioni dell’esercito. Una di queste era appunto Fort Rucker. L’HumRRO si occupava di ricerche sulla formazione, motivazione, leadership fino a trattare le problematiche inerenti l’addestramento, l’ergonomia e (per l’appunto) il rapporto uomo-macchina.

LOW-ENTRY cadeva sotto la responsabilita’ del progetto Man-Machine e in sostanza consisteva nell’elaborare ed affinare le tecniche di navigazione a bassa e bassissima quota con velivoli ad ala fissa e ad ala rotante. Oltre a questo, il PMM si occupava di studiare e implementare nuovi metodi di addestramento da impartire al personale dell’aviazione dell’esercito. I profili di volo contour, low level e nap-of-the-earth (introdotto proprio in quegli anni) richiedevano infatti una navigazione estremamente precisa e un livello di attenzione da parte del pilota decisamente superiore alla media. E non c’era affatto da stupirsi visto che le altitudini tipo prese in considerazione variavano dai 250 piedi fino a radere o addirittura scendere al di sotto delle cime degli alberi (vedere l’immagine in basso).

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Immaginate di volare ad alta velocita’ sopra un territorio ostile senza mai eccedere i 100 piedi (LO-LO-LO), colpire il bersaglio al primo passaggio con una L/A (lateral accuracy) di 30-40 piedi e infine ritornare alla base attraverso una rotta differente. Metteteci in mezzo tutti gli incerti legati al volo in combattimento, e otterrette un profilo di volo massacrante.

Qualcuno potra’ interpretare tutto cio’ come un’esagerazione, ma fra gli anni cinquanta e sessanta la fascia media della difesa contraerea stava diventando sempre piu’ pericolosa e per le aviazioni dell’esercito esplorare e familiarizzare con il volo alle quote piu’ basse era diventato piu’ una questione di sopravvivenza che una semplice necessita’. Va inoltre sottolineato che questi studi furono condotti con in mente conflitti a media e alta densita’ contro un avversario tecnologicamente avanzato e in assenza di MANPADS (allora inesistenti).  Parliamo comunque del 1961, ed in quel periodo il Vietnam non aveva ancora dominato i pensieri di militari e strateghi.

Mentre il Mohawk venne principalmente relegato alle esercitazioni di penetrazione a bassa quota, i test di valutazione per la ricerca della velocita’ ottimale nel regime subsonico furono affidati ad aviogetti da combattimento. Il primo a raggiungere le unita’ dell’US Army Aviation fu l’italianissimo FIAT G.91, che otto anni prima aveva vinto un concorso NATO relativo ad un aereo da supporto tattico ravvicinato capace di operare da piste semipreparate. Questo modello giunse a Fort Rucker nel Gennaio 1961 (scan da Army Aviation Digest):

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A far compagnia al piccolo Gina, nelle settimane successive giunsero anche i piu’ pesanti american-made Douglas A4D-2N Skyhawk e Northrop N-156F (prototipo dell’F-5A). I tre aerei furono valutati anche per i ruoli FAC (Forward Air Control), ricognizione tattica e CAS (Close Air Support), con o senza armamento a bordo. Da segnalare che il G.91 e l’A4D potevano entrambi imbarcare anche ordigni nucleari tattici, particolare che evidentemente stuzzico’ in qualche modo i vertici dell’U.S. Army (meno quelli dell’USAF!).

L’US Army ricevette un totale di sei aerei, due per modello. Gli Skyhawk provenivano dalla US Navy (matr. 148490 and 148483), gli N-156F dall’USAF (matr. 59-4987 e 4988), mentre a fornire i G.91 fu la FIAT Aviazione SpA (variante R/1, cn 0042) e la Luftwaffe (variante R/3, matr. cn 0065), in collaborazione con stessa FIAT. Quest’ultima fece organizzare anche un team di piloti e tecnici guidati dallo stimato ed esperto Riccardo Bignamini, ex pilota AMI, nonche’ collaudatore del prototipo del Gina. Senza troppe sorprese, l’unico aereo consegnato nella sua configurazione originale fu il nostro G.91. Gli altri due furono invece sottoposti ad alcune modifiche, sebbene di lieve entita’. Ad esempio sullo Skyhawk furono montati nuovi carrelli rinforzati a doppia ruota per facilitare le operazioni su piste semipreparate, piu’ un paracadute frenante (parafreno) per accorciare la corsa di atterraggio.

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I test proseguirono senza sosta  fino all’estate del 1961. Le tre coppie di aerei furono testati in ogni condizione possibile ed in molteplici scenari, compresi voli in zone torride e operazioni su terreni erbosi e sabbiosi. Vi furono anche numerose valutazioni con carichi bellici, sopratutto lanciarazzi e bombe a caduta libera da 250 e 500 libbre.

Durante le prove l’US Army stabili’ fra le altre cose quali fossero i punti di forza delle tre macchine. Per esempio l’A4D era l’unico che potesse vantare capacita’ ognitempo, l’N-156F fu quello che esibi’ le migliori prestazioni complessive, mentre il G.91 si rivelo’ il modello piu’ docile, nonche’ quello che richiese minor manutenzione e assistenza esterna. In breve, l’esercito statunitense li valuto’ tutti in modo piu’ o meno positivo, anche se con una comprensibile preferenza nei confronti dello Skyhawk.

Ecco cosa scrive Stephen Harding sul suo  U.S. Army Aircraft Since 1947:

G.91

“Il Team di valutazione dell’Esercito trovo’ il G.91 facile da pilotare, relativamente semplice da manutenere in campi di volo austeri e piu’ che capace di adempiere ai ruoli FAC e di ricognizione.”

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“L’opinione dell’esercito nei confronti dello Skyhawk fu molto favorevole. L’A4D ha provato di essere un aereo da attacco al suolo esemplare e con eccellenti caratteristiche di manovrabilita’ alle basse quote.”

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“Secondo l’esercito l’N-156F era un aereo capace e ben costruito, facile da manutere in campi di volo austeri e capace di trasportare un significante carico offensivo e in grado di operare dalle piu’ rudimentali piste d’atterraggio avanzate.”

Andrebbe pero’ segnalato che il G.91 non era propriamente l’ideale per il Close Air Support. A dispetto dei pregi sopra elencati, l’esercito non fu soddisfatto per quanto riguarda carico bellico, raggio d’azione e loiter time (tempo di permanenza sopra un qualsivoglia obiettivo).

Sfortunatamente, il 27 Luglio 1961, proprio mentre stavano per concludersi le valutazioni a Fort Rucker, il collaudatore Riccardo Bignamini si schianto’ a bordo del suo G.91R/3 durante un test che prevedeva il decollo con razzi JATO. L’impatto con il suolo lo uccise sul colpo.

All’epoca dei fatti il sistema JATO non aveva ancora terminato le prove di compatibilita’ con il G.91 e quindi non era stato ancora approvato per questo modello. Bignamini ne era al corrente, ma decise comunque di effettuare il decollo, autorizzato dall’Ingegner Giuseppe Gabrielli (progettista del 91), che dopo l’iniziale parere contrario, cedette trascinato dall’entusiasmo di Bignamini. Ecco cosa scrive lo stesso Gabrielli nella autobiografia intitolata Una Vita Per L’Aviazione:

“Compiuta questa prova avrebbe dovuto essere accompagnato in un vicino aeroporto civile per imbarcarsi e tornare in Italia.  […] Tutto era avvenuto così fulmineamente che il pilota non ebbe il tempo di lanciarsi col seggiolino eiettabile e il velivolo si schiantò al suolo. […] Dalle nostre indagini emerse che all’atto dell’accensione dei razzi il velivolo aveva assunto un assetto corrispondente al contatto del pattino di coda con il suolo, circa 11 gradi. Il pilota non aveva percepito la tendenza del velivolo a cabrare, in quanto questo poggiava sul pattino; Bignamini non se ne era accorto per il rumore dei razzi e infatti non agì sull’equilibratore per contrastare gli effetti negativi. All’atto del distacco un momento instabilizzante pose il velivolo in un assetto e su una rampa critica, nella quale l’azione di correzione longitudinale non poteva agire.”

L’incidente di Fort Rucker fu un brutto colpo per la FIAT, non tanto per i test in corso, ma per la perdita di un professionista altamente qualificato come Bignamini.

Nel frattempo, le valutazioni dell’esercito statunitense si stavano ormai avviando verso la conclusione. Il 20 Settembre 1961 il CONARC, dopo un’attenta analisi dei risultati raccolti sino ad allora, raccomando’ tuttavia di proseguire ulteriormente con il programma prima di decretarne il vincitore. E’ importante pero’ segnalare che lo stesso CONARC in una nota suggeri’ anche di procedere alla selezione dell’A4D-2N Skyhawk in caso di improvvise emergenze o cause di forza maggiore, segno che il piccolo assaltatore della Douglas aveva ottenuto un punteggio superiore rispetto agli altri due modelli in lizza.

Ma fu tutto inutile. Ancora una volta le pressioni politiche dell’aeronautica impedirono all’U.S. Army ogni mossa che prevedesse l’acquisizione di aerei da combattimento. Le basi della protesta poggiavano ancora una volta sul famigerato Accordo di Key West (1947), che tracciava le risorse aeree che ciascuno servizio era autorizzato a mantenere. L’Air Force all’epoca si vide assegnare il nucleo portante delle dotazioni aeree strategiche, tattiche e di trasporto. Insomma, l’U.S. Army, dopo aver dato vita all’USAF, si trovava nella condizione di dover sottostare a quest’ultima per praticamente tutto cio’ che riguardava l’acquisizione e la gestione di aeromobili ad ala fissa dal Beaver in su.

NOTE SU LOW-ENTRY, G.91 E GALLERIA IMMAGINI

Non ho potuto fare a meno di notare che le informazioni sul progetto LOW-ENTRY sono in generale assai frammentarie ed estremamente difficili da reperire, anche prendendo in esame la letteratura aeronautica prodotta sino ad oggi e i documenti rilasciati in formato digitale dagli enti militari statunitensi, solitamente molto generosi e disponibili (a differenza, ahime, di quelli italiani). Sul G.91 U.S. Army, in particolare, mi e’ capitato spesso di raccogliere dati contradditori e/o imprecisi. Per esempio il succitato Stephen Harding scrive che l’esercito americano testo’ un G.91R/1 tedesco con codice BD+102 e numero di costruzione 0052. Il problema e’ che la Luftwaffe non ha mai avuto in servizio gli R/1.

Come si fa a riconoscere un R/1 da un R/3? In primis dall’armamento fisso. L’R/1 monta quattro mitragliatrici Colt-Browning M3 calibro .50, mentre l’R/3 una coppia di cannoncini DEFA da 30mm. Il G.91R/1 c/n 0042 che vedete qui sotto e’ infatti equipaggiato con le calibro .50 (DoD Photo):

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Il 0042 fu un esemplare prodotto per l’AMI e portava la matricola MM6276. Questo aereo presto’ servizio fino al 1983 presso la base di Treviso-Istrana (nella 2a e 5a Aerobrigata) e oggi e’ conservato a Farra D’Isonzo (Udine), in un padiglione del Museo dell’Automobile e della Tecnica.

Dove Harding abbia preso il codice BD+102 proprio non lo so 🙂 Fra l’altro quel “BD” era allora assegnato agli aerei appartenenti alla Waffenschule 50, la scuola armamenti dell’aeronautica tedesca, che pero’ appunto era equipaggiata con la R/3! Oltre a questo, Harding e altri scrivono che Bignamini pilotava un R/1 al momento dello schianto, quando invece era un R/3, come peraltro confermato dallo stesso Gabrielli nella autobiografia citata prima.

Insomma la confusione regna sovrana.

A titolo d’esempio, su alcuni testi viene riportato che negli USA arrivarono quattro G.91: due R/1 per l’US Army a Fort Rucker e due R/3 per l’USAF a Kirtland AFB. Anche Wikipedia riporta la notizia, a quanto pare basata sulla monografia Profile Publications – The Fiat G.91 di Giorgio Apostolo:

“In 1961, four Fiat G.91s were delivered to the U.S. aboard Douglas C-124s for evaluation. Two Two G.91R-1’s were placed at the disposal of technicians of the U.S. Army at Fort Rucker, Alabama, and two G.91R-3’s were delivered to the U.S. Air Force at Kirtland Air Force Base, New Mexico. One G.91R-3 was sent to the climatic laboratory at Eglin for a series of tests. Instrumentation was installed on the aircraft to record all the information relatated to the airframe and the engine.”

Occhei, pero’ come abbiamo visto l’US Army ebbe sia R/1 che R/3, entrambi con le insegne di forza armata ad alta visibilita’ bene in vista. Inoltre, in questa foto del 4925th Test Group scattata nel 1961 a Kirtland AFB, vediamo in primo piano proprio un R/1 privo di qualunque tipo di insegna. Qualcuno mi ha suggerito che la foto potrebbe risalire ad annate successive al 1961, ma cio’ non e’ possibile in quanto il 4925th TG fu gradualmente smobilitato e sciolto fra Aprile e Agosto dello stesso anno, proprio mentre si stavano per concludere i test a Fort Rucker.

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g91climaeglinQuesta immagine invece fu scattata presso la camera climatica ad Eglin AFB, in Florida. Anche qui vediamo un R/1 e non R/3 come riportato da Apostolo, Harding e altri. Fino ad ora non ho mai visto R/3 in immagini associate all’U.S. Air Force. Alcune fonti parlano addirittura di test compiuti dall’U.S. Marine Corps, ma anche qui non ho trovato alcuna prova, ne’ scritta, ne’ fotografica. (DoD Photo)fs5

Altra immagine del 0042, forse la piu’ famosa e diffusa dei G.91 italiani in trasferta in Alabama:

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G.91R/3, c/n 0065. La location e’ la medesima della foto precedente. (DoD Photo)

Sempre restando in ambito Gina, raramente viene menzionata la presenza in USA di un G.91T con le insegne U.S. Army:

g91tusarmySi tratta del T/1 MM.6289/ cn 0002, unico Tango testato dall’esercito statunitense. L’MM.6289 e’ noto per essere stato il secondo T/1 uscito dalle catene di montaggio dell’Aeritalia di Torino. Questo esemplare fu impiegato per consentire ai collaudatori statunitensi di effettuare il passaggio macchina. La livrea dovrebbe essere argento/alluminio opaco con la striscia orizzontale di colore rosso dipinta sulle fiancate.

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I primi due FIAT G.91 testati dall’U.S. Army: in primo piano un R/3 (c/n 0065) accanto ad un R/1 (c/n 0042 – MM6276). Il primo e’ armato con una coppia di cannoni DEFA da 30mm, mentre il secondo monta quattro Browning calibro .50. (DoD Photo)

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Northrop N-156F (59-4988  c/n N-6002) con il carrello anteriore impantanato nel terreno. Notare l’assenza dei due cannoni Pontiac M39 da 20mm: queste armi furono montate solo a partire dai successivi F-5A. (DoD Photo)

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Ancora una foto dell’N-156F matricola 59-4988. I frequenti impantanamenti portarono la Northrop ad installare un carrello anteriore biruota. (DoD Photo)

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N-156F matricola 59-4987 ( c/n N-6001). Questo esemplare porta le insegne dell’U.S. Army proprio come i G.91 (DoD Photo)

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G.91R/3 durante un passaggio a bassa quota (DoD Photo)

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G.91R/3 con il paracadute frenante esteso. Il Gina era l’unico dei tre contendenti ad avere questo accessorio montato di serie. (DoD Photo)

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Douglas A4D-2N Skyhawk matricola 148490 durante i test su piste erbose (DoD Photo)

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Altra immagine dell’A4D 148490. Notare le gambe posteriori del carrello dotate di  due ruote e i relativi alloggi per la retrazione. (DoD Photo)

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Di nuovo N-156F #59-4987

LA FINE DEL SOGNO E CONSIDERAZIONI SUL CAS ARMY/USAF

In quei lunghi, interminali mesi, l’insofferenza dell’Air Force nei confronti dell’US Army raggiunse probabilmente l’apice. Continuamente pressata dall’esercito e da McNamara, l’USAF tento’ di venire incontro alle esigenze di close air support della fanteria organizzando l’Operazione Menu. Agli inizi del 1961 l’allora Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Generale Thomas White propose all’esercito l’uso di undici squadroni tattici equipaggiati con aerei scelti dallo stesso esercito da una lista di modelli compilata per l’occasione dall’Air Force. L’esercito, assai sospettoso, rifiuto’ l’accordo in quanto lo riteneva una mera operazione di facciata, senza contare che l’aviazione stava spingendo in modo evidente verso il Republic F-105 Thunderchief, un massiccio cacciabombardiere creato per lo sgancio di un unico ordigno nucleare tattico. Come se non bastasse, lo stesso Thunderchief era considerato uno dei feticci dell’influente Generale LeMay, che essendo un bomber guy, nutriva ben poco interesse nei confronti del vero supporto aerotattico.

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Il menu’ preparato dall’USAF fu assai indigesto ai vertici dell’esercito, tanto che nella primavera del 1961, George Decker, Capo di Stato Maggiore dell’US Army,  tuono’ pubblicamente contro l’Air Force. Le dichiarazioni di Decker furono di un’assertivita’ senza precedenti. Fra le altre cose disse:

“Il requisito dell’US Army e’ semplice. L’US Army deve poter usufruire del close air support dove ne ha bisogno, quando ne ha bisogno, e sotto un sistema di controllo che tenga conto delle necessita’ dell’esercito stesso”

Ma a dispetto della voce grossa di Decker, il sogno dell’US Army di dotarsi di una flotta di aviogetti da combattimento era ben lungi dal materializzarsi (o meglio, le speranze erano prossime allo zero). McNamara, sebbene appoggiasse le aspirazioni dell’esercito, doveva anche occuparsi di ristabilire il quieto vivere e incentivare la cooperazione fra le due forze armate. L’USAF, in sostanza, avrebbe continuato a fornire il supporto tattico ravvicinato all’esercito attraverso velivoli ad ala fissa, sebbene con una maggiore attenzione alle esigenze dell’esercito e alle problematiche joint. Come contropartita, l’US Army avrebbe avuto praticamente carta bianca nell’impiego degli elicotteri, compresi quelli armati e da attacco.

La prima indicazione sul nuovo corso USAF in materia di CAS la diede McNamara il 7 Giugno 1961, quando ordino’ all’USAF di sviluppare due nuovi aerei tattici, di cui uno specializzato proprio nel close air support. Ad ogni modo la disputa Army-USAF sul controllo delle risorse aeree era ben lungi dall’essere conclusa e nei decenni successivi il dibattito torno’ puntualmente ad infuocarsi in numerose altre occasioni. I motivi dell’insoddisfazione dell’esercito rimasero pero’ sempre gli stessi, ossia il generale disinteresse dell’USAF per il CAS e la inadeguatezza degli aerei da combattimento impiegati in questo ruolo. A tutto cio’ andava ovviamente aggiunto il discorso del dover dipendere da un’altra forza armata per l’appoggio ai propri uomini.

Insomma, gli alti papaveri dell’USAF sembravano non essere predisposti verso il CAS e l’adozione di aerei specifici per questo ruolo, anche se qualcosa stava lentamente cambiando. Ad esempio, fra il 1962 e la meta’ del 1963, lo Strike Command organizzo’ 32 esercitazioni congiunte Army-USAF e anche l’addestramento con ordigni convenzionali si fece piu’ intenso. I nuovi training manual del TAC (1963) dedicati ad F-100 e F-105 facevano presente che i piloti di entrambi gli aerei avrebbero dovuto spendere rispettivamente il 21% e 27% del loro tempo ad esercitarsi nel lancio di ordigni convenzionali nel corso delle campagne semestrali. Per quanto riguarda il munizionamento nucleare questa cifra era rispettivamente 16% e 11%. Ma a dispetto di cio’, le missioni nucleari tattiche restavano la priorita’. John Schlight, nel suo studio intitolato Air Force Close Air Support of the Army 1946-73 scrive:

“Aircrew proficiency in the two main close air support aircraft, the F–100 and F–105, was still weighted in favor of nuclear proficiency. While F–100 crew members, for example, had to qualify every six months in three types of nuclear weapons delivery, be familiar with two other types, attend a refresher course, and be recertified as proficient in nuclear weapons delivery, they had to qualify only annually in nonnuclear delivery and simply be familiar with, not proficient in, delivering nonnuclear weapons. The same basic imbalance existed for F–105 aircrews”.

Per migliorare la cooperazione, il TAC nel frattempo aveva assegnato in pianta stabile ufficiali di collegamento presso il III Corps e il XVIII Airborne Corps e ad ognuna delle otto divisioni dell’US Army inquadrate nel CONARC. Ci furono inoltre numerosi scambi di personale fra reparti, cosi’ come reciproche visite di cortesia.

Niente invece si era ancora smosso per quanto riguarda la scelta di una specifica piattaforma per il Close Air Support.

Nel corso di un’indagine sul CAS avviata nel 1965 dalla Commissione Pike, praticamente tutti gli alti ufficiali dell’Air Force intervistati si mostrarono contrari (se non ostili) all’introduzione di aerei specializzati al supporto tattico ravvicinato. Quelli che invece erano moderatamente a favore, proponevano soluzioni poco realistiche. Ad esempio il Maggiore Generale Arthur Agan dichiaro’ che non aveva nulla contro gli aeroplani per il CAS, a patto che questi avessero capacita’ aria-aria tali da ingaggiare e abbattere caccia nemici. In cima alla “piramide” le cose non andavano meglio. Quando nello stesso periodo fu proposto l’A-7 Corsair II come soluzione low-end, il Generale LeMay e il suo staff lo scartarono sottolineando che si trattava di un aereo non particolarmente brillante e che in piu’ non possedeva capacita’ aria-aria.

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Il primo Capo di Stato Maggiore dell’USAF che mostro’ una certa sensibilita’ nei confronti del CAS fu il Generale John McConnell, un “mangiaterra” dell’Arkansas che proveniva dali ranghi dell’aviazione tattica. McConnell – che nel febbraio 1965 sostitui’ il “bombardiere” LeMay –  ordino’ all’aviazione di acquisire il tanto detestato A-7, sebbene in quantitativi non eccezionali (459 esemplari). Ma non fu esattamente un atto di cortesia. Egli infatti era ben conscio’ non solo delle continue pressioni di McNamara e dell’esercito, ma anche della minaccia che stava rappresentando il nuovo programma Advanced Aerial Fire Support System (AAFSS), lanciato dall’US Army nel 1964 con le intenzioni di fornire all’esercito un elicottero d’attacco ad alte prestazioni specializzato nel supporto di fuoco.

L’appalto AAFSS fu vinto dalla Lockheed nel 1966. Il colosso californiano, pur avendo ben poca esperienza in fatto di elicotteri (cfr i prototipi CL-475 e XH-51), si era aggiudicato il contratto grazie all’AH-56 Cheyenne, un sofisticato elicottero d’attacco compound dotato di un potente carico offensivo composto da missili controcarro di nuova generazione, lanciarazzi, cannone automatico da 30mm e lanciagranate da 40mm. Macchina sin troppo ambiziosa e rivoluzionaria, il Cheyenne era dotato di rotore quadripala rigido, rotore di coda accoppiato ad un elica tripala spingente e persino di un’ala che aveva la funzione sia di incrementare la portanza, che di trasportare parte del carico bellico. La Lockheed si premuro’ inoltre di equipaggiarlo con un’avionica allo stato dell’arte, sotto certi aspetti anche piu’ avanzata di quella montata su alcuni caccia in dotazione all’aeronautica. Fra gli equipaggiamenti disponibili a bordo si segnalavano un radar per inseguire il profilo del terreno (Terrain Following Radar o TFR), sistema di navigazione inerziale (INS), telemetro laser, torretta optronica e autopilota.

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L’USAF, neanche a dirlo, temeva il Cheyenne quanto la caparbieta’ dell’U.S. Army. Ecco, ad esempio, cosa disse McConnell in un’intervista rilasciata nel 1970:

Il problema e’ che noi dovevamo dare qualcosa all’esercito per il close air support. Primo, perche’ era il nostro lavoro. Secondo, se non l’avessimo fatto, qualcun’altro l’avrebbe fatto per noi. E quel “qualcun’altro” era lo stesso esercito, che con il Cheyenne a pieno regime si sarebbe appropriato dei fondi destinati all’aviazione tattica.

McConnell era anche un furbacchione. Grazie ad un controverso accordo firmato assieme al Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, nel 1966 egli riusci’ anche a far trasferire all’aviazione la flotta di cargo tattici De Havilland CV-2A Caribou dell’US Army Aviation. Ma questa e’ un’altra storia.

Va inoltre ricordato che in quello stesso periodo l’US Army stava per immettere in servizio il primo elicottero d’attacco dedicato della storia: l’AH-1G Cobra della Bell Helicopter. Questa macchina, acquisita in attesa che entrasse in linea il Cheyenne, volo’ nel Settembre del 1965 (lo stesso mese dell’A-7), debuttando operativamente due anni piu’ tardi in Vietnam, dove divenne ben presto uno degli aeromobili da supporto di fuoco piu’ richiesti dalle truppe di terra, arrivando a totalizzare alla fine del conflitto oltre un milione di ore di volo. Sebbene meno avanzato dell’AH-56, il Cobra era pero’ semplice, relativamente economico e dotato nel complesso di buone prestazioni. I Corsair II dell’USAF, dal canto loro, raggiunsero i reparti stanziati nel Sud Est Asiatico nel 1970 e contrariamente a quanto ipotizzato dai generali dell’aeronautica, si comportarono in modo esemplare, specialmente durante l’Operazione Linebacker II (1972).

L’Air Force sperava che l’acquisto degli A-7 potesse in qualche modo calmierare l’esercito e magari convincerlo ad abbandonare Cobra e Cheyenne. Ma non fu cosi’. Al contrario entrambi i programmi proseguirono indisturbati. Il Cobra, anzi, fu procurato in centinaia di esemplari, che presto salirono a oltre 1100. Non solo, l’US Army sembrava in certi frangenti volersi distanziare dalle recenti iniziative USAF legate al supporto aerotattico (si vedano appunto l’Operazione Menu e  l’acquisto degli A-7).

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Il motivo andava principalmente ricercato nel fatto che a partire dagli anni cinquanta all’interno dell’esercito si era formato un agguerrito gruppo di attivisti che promuovevano e difendevano l’uso di aerei ed elicotteri all’interno dell’esercito stesso. Questi individui per anni avevano lottato con le unghie per ottenere (entro gli ovvii limiti) quell’indipendenza aerotattica che l’USAF voleva loro negare. Era gente estremamente assertiva e combattiva e che aveva imparato a non farsi mettere i piedi in testa da nessuno.

Ma poi ancora la sfiducia legata al close air support era un affare di vecchia data e risale ancor prima che l’USAF diventasse una forza armata indipendente. In questo senso parrocchialismi e preconcetti da parte dall’esercito non sono mai mancati, alimentati dall’atteggiamento anti-CAS delle forze aeree. Un atteggiamento che aveva radici antiche quasi quanto la stessa aviazione.

A titolo di esempio, il manuale dottrinale dell’Air Corps Tactical School (ACTS) del 1930 recitava:

“Il corpo aereo non attacca obbiettivi sul campo di battaglia o nelle immediate vicinanze se non in circostanze straordinarie” 

Una stringata puntualizzazione che lasciava spazio a ben pochi dubbi. Ma c’e’ di piu’: nell’edizione del 1939 l’US Army Air Corps (USAAC) senti’ la necessita’ di cambiare quel “circostanze straordinarie” con un piu’ drammatico e perentorio “in caso di grandi emergenze” (!). In effetti, gia’ da molto prima della Seconda Guerra Mondiale si avvertiva un netto rifiuto del supporto tattico ravvicinato da parte di strateghi e generali dell’USAAC. Negli anni Venti e Trenta il pensiero di teorici del bombardamento strategico come Giulio Douhet, Billy Mitchell e sir Hugh Trenchard sembrava prevalere su ogni altra cosa, ed il conflitto del 1939-45 non fece altro che confermare cio’. La cosa piu’ “vicina” al CAS prevista dall’USAAC degli anni trenta era qualcosa di simile all’attuale interdizione, attivita’ indubbiamente importante, ma che per ovvie ragioni non poteva sostituire il supporto diretto delle truppe.

Nel corposo studio intitolato Case Studies in the Development of Close Air Support (Benjamin Franklin Cooling, USAF, 1990), lo storico David Syrett – commentando la Campagna di Tunisia – fece notare che il punto di vista dei comandanti delle forze di terra era necessariamente tattico e che essi non erano particolarmente interessati agli effetti a lungo termine delle campagne di interdizione e bombardamento strategico.

Ma la cosa cosa realmente drammatica e’ che i segnali di queste carenze ed inadeguatezze furono spesso sottovalutati o bellamente ignorati, nonostante alcuni passi avanti compiuti grazie alla pubblicazioni di nuovi manuali (cfr. FM 100-20) e alla spinta di generali volenterosi e “illuminati” come Elwood “Pete” Quesada [1]. Il Colonnello Jules E. Gonseth, vice-capo del’US Army Aviation School di Fort Rucker (Alabama), nel 1955 fece notare che durante la II Guerra Mondiale il Close Air Support raramente fu in cima ai pensieri delle forze aeree dell’US Army. Gonseth sottolineo’ in particolare che in un anno cruciale come il 1944, solo l’8% delle missioni dell’VIII Air Force erano di natura tattica. Persino in una forza piu’ orientata al CAS come il IX TAC (Tactical Air Command), le missioni di supporto tattico ravvicinato si fermarono al 36% del totale.  Solo nel Dicembre 1944, in seguito al feroce contrattacco tedesco nelle Ardenne, che il IX TAC impiego’ tutte le proprie risorse a supporto delle ground forces..

Le azioni della IX, specialmente nel ruolo controcarro, si rivelarono efficaci, salvo in determinate circostanze, come ad esempio quando le forze nemiche erano troppo vicine alle truppe amiche (come nel caso di Bastogne).

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Deficienze nel CAS, a livello sia materiale che dottrinale, furono segnalate nuovamente in Corea [2] e poi ancora in Vietnam. Le armi nucleari, la Guerra Fredda e il generale disinteresse nei confronti delle missioni di attacco al suolo in prossimita’ delle truppe, avevano portato la componente combat dell’USAF degli anni cinquanta a concentrarsi prevalentemente su missili balistici (SM-65 Atlas), bombardieri strategici (B-36, B-47, B-52, B-58) e su una variegata flotta di caccia e intercettori sempre piu’ veloci e sofisticati (F-86D, F-94, F-89, F-101, F-102, F-104, F-106). Per i cacciabombardieri e gli aerei d’attacco non rimanevano che le briciole.

Sia in Corea che in Vietnam, l’aereo forse piu’ apprezzato nel close air support fu il Douglas A-1 Skyraider un grosso assaltatore con motore radiale concepito per la Marina durante la 2a Guerra Mondiale. La perfetta antitesi dei moderni, veloci e complessi F-105 Thunderchief e F-4 Phantom II. L’Air Force ignoro’ lo Skyraider per quasi vent’anni, adottandolo solo attorno alla meta’ degli anni sessanta per questioni di pura necessita’ e grazie all’interessamento del Special Air Warfare Center (SAWC) di Eglin AFB (Florida), che godeva di una maggiore indipendenza rispetto ai tradizionali enti dell’Air Force, Del resto, cosa aspettarsi da una forza armata che valutava gli aerei da combattimento sopratutto in base a caratteristiche come velocita’, tangenza massima e livello di sofisticazione?

Ma erano qualita’ sempre necessarie? Specie nel close air support? Non esattamente.

Il Maggiore Charles Gofroth (USAF) nella sua tesi intitolata “Do We Need a New Aircraft for Close Air Support” (pag. 18 e 19), scrive che le probabilita’ di acquisire con successo bersagli come  truppe scendevano attorno allo zero quando l’aeromobile procedeva a velocita’ superiori a 400 nodi e ad altitudini di 500 piedi, che erano grossolanamente i parametri di sgancio tipici usati dai piloti di jet. Dello stesso avviso il Colonnello Hunter Reinburg (USMC), che durante la guerra di Corea partecipo’ a numerose missioni di CAS (vedere le pag. 60 e 61 della rivista Army, numero 53, Aprile 1962).

Parlando di pro e contro degli aerei jet e a elica, Richard Hallien in “The Naval Air War in Korea” fa notare che i primi potevano colpire piu’ velocemente e con minor preavviso, mentre i secondi portavano un maggiore carico bellico, erano piu’ manovrabili e con un loitering time molto superiore. Hallien pero’ sottolinea che le perdite fra i tipi a elica erano generalmente superiori.

Altro aereo che si distinse nel Close Air Support fu l’A-37 Dragonfly. Prodotto dalla Cessna, il minuscolo Dragonfly derivava dall’addestratore A-37, anche se con quest’ultimo aveva ben poco in comune, specialmente nella variante “B”. L’A-37B era due volte piu’ pesante, due volte piu’ potente e poteva trasportare un carico bellico massimo di 2.5 tonnellate, piu’ una mitragliatrice GAU-2/A Minigun a sei canne rotanti da 7.62 installata dentro il muso. Era semplice, robusto ed economico e necessitava di due sole ore di manutenzione per ogni ora di volo. Non era resistente al fuoco di terra, ne’ aveva lo stesso loitering time dello Skyraider, ma nel complesso si difendeva bene. Questo modello dopo la guerra in Vietnam venne trasferito all’Air National Guard (ANG) e alla Riserva (AFRES o Air Force REServe), che lo impiego’ nel ruolo FAC fino al 1990-91.

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Ad affiancare i Cobra e gli Huey cannoniera dell’U.S. Army, ci furono anche i Grumman OV-1 Mohawk. Benche’ nati per la sorveglianza sul campo di battaglia, i Mohawk erano in grado di trasportare carichi bellici come lanciarazzi, bombe a caduta libera e pod con mitragliatrici. Questi aerei trovarono impiego in Vietnam, dove furono generalmente apprezzati sia dagli equipaggi, che dalle truppe di terra. L’USAF, come suo solito, protesto’ per gli armamenti a bordo, ma l’esercito il piu’ delle volte se ne fregava e tirava avanti per la propria strada (a questo proposito consiglio una visita a questa pagina).

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LA FINE DEL CHEYENNE E I PROGRAMMI A-X E AAH

Nel frattempo, fra incidenti, ritardi dovuti a problemi tecnici e aumento dei costi, l’AH-56 fini’ sotto la mannaia dei tagli alla difesa. E cosi’ nell’Agosto 1972, dopo sette anni di sviluppo e dieci prototipi costruiti, l’esercito decise di rinunciare definitivamente a questo fantascientifico mezzo che fino ad allora aveva contribuito solo a drenare fondi dai bilanci annuali. Critiche e pressioni dell’Air Force contribuirono certamente alla fine del Cheyenne, ma il motivo principale va probabilmente collegato alla nascita del Programma A-X, avviato formalmente dall’USAF nel 1966 e ormai in dirittura d’arrivo. Lo scopo iniziale del Programma A-X era quello di fornire all’aeronautica un aereo specializzato in operazioni COIN e CAS, tant’e’ che le proposte dei costruttori legate alla prima RFP riguardavano esclusivamente modelli a turboelica. Nella primavera del 1970 venne pero’ compilata una seconda RFP, che faceva invece riferimento ad un aviogetto bimotore con elevate capacita’ di sopravvivenza e armato di un cannone ad alta potenza in grado di perforare le corazze dei piu’ moderni carri Sovietici. Dunque l’interesse passo’ dal COIN (prima RFP), alle operazioni antitank in Europa Centrale (seconda RFP). Al secondo requisito parteciparono sei case, ossia: Boeing, Cessna, Northrop, Fairchild Republic, General Dynamics e Lockheed.

A questo proposito va ricordato che i due finalisti dell’A-X, il Fairchild Republic YA-10A e il Northrop YA-9A, volarono rispettivamente il 10 e 20 Maggio 1972, ossia quattro mesi prima della cancellazione del Cheyenne. Alla fine la spunto’ l’YA-10A, selezionato il 18 Gennaio 1973 e immediatamente avviato alla produzione in serie. L’US Air Force in seguito ne avrebbe ordinati ben 715 esemplari, l’ultimo dei quali consegnato nel 1984.

L’A-10, battezzato ufficialmente Thunderbolt II (in onore del P-47 della IIGM), rappresentava il non-plus ultra nella categoria degli aerei da supporto tattico ravvicinato. E non poteva essere altrimenti, visto che si trattava del primo jet specializzato in questo compito. La spiccata specializzazione ne aveva enormemente influenzato l’aspetto, che non aveva eguali nel pur vasto e variegato panorama degli aerei da combattimento. Sebbene sviluppato durante le fasi finali del conflitto in Vietnam, fu presto adattato ed equipaggiato per operare nei previsti scenari ad alta densita’ come ad esempio in Centro Europa, dove nell’eventualita’ di uno scontro con il Patto di Varsavia, l’A-10 avrebbe dovuto occuparsi innazitutto di mezzi corazzati e dei temuti semoventi contraerei ZSU-23-4.

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A osservarlo in azione l’A-10 era tutto quello che un fante potesse desiderare: manovrabile alle basse quote, bene armato, ben protetto e in grado di volare sopra il bersaglio per lungo tempo. Tutto era in funzione alla sopravvivenza e alla capacita’ di arrecare danni al nemico, a partire dall’enorme cannone GAU-8/A attorno al quale l’A-10 fu concepito. Il mission radius del Warthog era circa 480 km con una permanenza sul bersaglio attorno ai 15 minuti.

Per certi versi l’A-10 era proprio l’erede di quel favoloso Skyraider che tanto si era distinto in Corea e Vietnam.

Andrebbe pero’ anche fatto notare che il Thunderbolt II non nacque dal sincero desiderio di venire incontro alle richieste dell’esercito in materia di CAS, bensi’ fu principalmente concepito e sviluppato per affossare l’AH-56 Cheyenne. Sono in molti a credere (compreso il noto progettista e padre dell’A-10 Pierre Sprey) che se non ci fosse stato il Cheyenne di mezzo, l’aeronautica statunitense non avrebbe mai fatto costruire l’A-10. Questa tesi e’ avvalorata anche dal fatto che negli anni ’70 e ’80 l’Air Force tento’ in piu’ occasioni di sbarazzarsesene. Oltre a cio’, andrebbe aggiunta l’estenuante lentezza con cui furono avviati i programmi di upgrade della flotta (compresi quelli di modesta entita’). Dopotutto, la rigida mentalita’ votata ai grandi conflitti ad alta intensita’ non ha mai abbandonato i pensieri dei vertici dell’Air Force. Nel 1972 il Generale Dale Sweat, vicecomandante del TAC, disse senza mezzi termini che l’A-10 non gli piaceva per nulla e che si trattava di un “acquisto stupido”.

Tuttavia la cancellazione del tanto bramato Cheyenne non scoraggio’ affatto l’esercito come ipotizzato da alcuni generali. In realta’ l’US Army era piuttosto soddisfatto della situazione in corso, e per tre buone ragioni:

1) Aveva alla fin fine costretto l’USAF ad acquisire un aereo specializzato nel Close Air Support;

2) Aveva ottenuto i fondi per finanziare un programma di aggiornamento che avrebbe convertito i Cobra in mezzi controcarro con capacita’ notturne;

3) “Morto” il Cheyenne, lo stesso esercito diramo’ immediatamente una specifica per un elicottero d’attacco di nuova generazione: l’Advanced Attack Helicopter (AAH).

RIguardo al punto #1 ho gia’ spiegato in modo sufficiente.

Sul punto #2, va segnalato che a partire dalla meta’ degli anni Settanta l’US Army avvio’ un programma di upgrade della flotta dei Cobra con sistemi di puntamento M65 e doppi lanciatori quadrinati per missili controcarro TOW (vedere gli AH-1Q/S/F etc). Per la cronaca, i primi TOW Cobra raggiunsero i reparti di stanza in Germania Occidentale nel 1976.

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Per quanto riguarda invece il punto #3, il concorso AAH si concluse nel Dicembre 1976 con la vittoria dell’YAH-64 Apache della Hughes Helicopter (che precedentemente aveva fornito all’esercito l’eccellente OH-6A). L’Apache rappresentava un netto miglioramento rispetto al Cobra. Particolare cura fu riservata alle capacita’ di sopravvivenza e di scoperta e acquisizione dei bersagli, che si avvaleva anche di un sistema di puntamento asservito al casco denominato IHADSS (Integrated Helmet and Display Sight System). L’AH-64 non solo fu progettato sin dal principio per operare anche di notte e in condizioni di scarsa visibilita’, ma poteva colpire e neutralizzare qualunque tank fino a distanze di 8000 metri (due volte il Cobra). Merito anche dell’AGM-114 HellFire, un efficace missile nato dalla sinergia fra forze armate (Redstone Arsenal dell’US Army) e industrie militari (Rockwell International). Il debutto operativo avvenne durante l’invasione di Panama, nel 1989, ma fu in Iraq durante l’operazione Desert Storm che questo elicottero mostro’ seriamente le proprie capacita’ distruggendo oltre 500 mezzi corazzati con la perdita di una sola macchina. Assai soddisfacente anche l’availability rate, calcolato attorno al 90%.

Ben presto il binomio Apache/A-10 si rivelo’ una scelta vincente, e ancor dalle prime esercitazioni congiunte basate sulla dottrina Airland Battle, fu chiaro che, in caso di guerra in Europa Centrale, gli elicotteri d’attacco dell’esercito avrebbero collaborato a stretto contatto con i Thunderbolt II. In effetti, l’entrata in linea dell’A-10 contribui’ a stimolare ulteriormente la cooperazione fra Army e Air Force.

Uno dei primi concreti esempi in questo senso furono le manovre militari JAWS I & II  (Joint Attack Weapons Systems) e TASE (Tactical Aircraft Survivability Evaluation) tenute a Fort Benning (Georgia) e Fort Hunter Liggett (California) fra il 1977 e il 1979. Queste esercitazioni, che si basavano sull’impiego di tattiche e attacchi sincronizzati, portarono l’A-10 a operare in realistici scenari CAS assieme agli AH-1 Cobra e OH-58 Kiowa dell’US Army. L’esperienza fu di grande aiuto ad entrambe le forze armate sia per stabilire tattiche e “linguaggi” comuni, sia per comprendere meglio i rispettivi modus operandi. Alla fine delle esercitazioni fu scoperto che il kill ratio raggiunto dalla cooperazione fra A-10 e Cobra era quattro o cinque volte superiore rispetto al tradizionale impiego separato delle due piattaforme. I benefici riguardavano non solo le capacita’ offensive, ma anche le probabilita’ di sopravvivenza sopra il campo di battaglia, che incrementarono in modo significativo.

Dalle manovre JAWS e TASE nacquero in seguito i Joint Air Attack Team (JAAT), che si avvalevano di tre elementi:

1) aeromobili da combattimento ad ala fissa (non necessariamente A-10);
2) elicotteri d’attacco;
3) artiglieria, che poteva essere sia campale che navale (compresi i pezzi da 16 pollici delle navi da battaglia Classe Iowa).

Il problema e’ che l’USAF, da un punto di vista istituzionale, non fu mai completamente persuasa dal CAS e vedeva questi pur rimarchevoli esempi di cooperazione fra forze armate come ad attivita’ di contorno e di scarsa rilevanza. Nell’US Army avveniva invece l’esatto contrario. Anche per questa ragione che ne’ l’AH-1, ne’ l’AH-64, hanno mai seriamente rischiato la radiazione prematura (del resto, e’ anche vero che l’esercito non aveva praticamente altre alternative).

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A-16, SUPER SLUF E LA RIVINCITA DELL’A-10

Dieci anni piu’ tardi, nel 1987, ancora non si capiva bene quale fosse il reale interesse del CAS da parte dell’USAF, sebbene in un memorandum d’intesa firmato nel 1985 con l’esercito, veniva menzionata l’importanza del supporto tattico ravvicinato:

“CAS needs to be effective on the non-linear battlefield across a broad spectrum of combat scenarios and threats ranging from the friendly rear area to the traditional main battle area and the deep maneuver arena.”

Sulla carta, le forze aeree statunitensi avevano assegnato alle operazioni CAS l’equivalente di 3.8 stormi tattici (TFW) di A-7D e 6.5 stormi tattici di A-10, per un totale di 10.3 stormi. Se teniamo conto che ogni TFW era equipaggiato con circa 75 aerei, la forza CAS nel suo complesso superava i 750 aerei, che non era affatto male. Di questi 10.3 Tactical Fighter Wing, 1.5 si trovavano in Europa, mentre lo 0.7 in Corea del Sud. La restante flotta (8.1 stormi) operava invece nel CONUS (CONtinental United States) ed era in larga parte assegnata non all’aviazione regolare (USAF), bensi’ all’Air Force Reserve (AFRES) e alla Air National Guard (ANG). Insomma, il lavoro “sporco” lo avevano in gran parte delegato alle riserve.

Del resto, all’Air Force piu’ che il CAS, interessava l’interdizione sul campo di battaglia (Battle Area Interdiction o BAI), preferibilmente senza alcuna interferenza da parte dell’esercito. I vertici dell’USAF erano perfettamente consci che l’A-10 non era adatto al BAI in scenari ad alta densita’ e per questa ragione sul finire degli anni ottanta tentarono di sostituirlo con versioni specializzate del caccia leggero General Dynamics F-16 Fighting Falcon (meglio noto come Viper).

Il primo tentativo ci fu nel 1989 con l’A-16, una versione dedicata al CAS/BAI che prevedeva l’installazione di un cannone da 30mm sistemato in un pod ventrale, l’aggiunta di blindature piu’ varie modifiche strutturali, incluso un irrobustimento dell’ala. L’USAF continuava a ripetere che l’A-10 era troppo lento e vulnerabile per sopravvivere nel moderno campo di battaglia, mentre i detrattori e gli scettici dell’A-16 – che includevano l’Ufficio del Segretario alla Difesa (OSD) e il Vice Sottosegretario alla Difesa del Tactical Warfare Programs, Donald N. Fredericksen – in tutta risposta fecero notare che questo aereo non poteva competere in alcun modo con il Warthog in termini di raggio d’azione, loitering time, carico bellico e capacita’ di incassare danni causati dal fuoco di terra.

Il Capo di Stato Maggiore dell’USAF, Generale Larry D. Welch, d’altro canto sosteneva che la chiave per sopravvivere sopra un campo di battaglia high tech era cercare di evitare i colpi, piuttosto che assorbirli come faceva l’A-10.  Fredericksen in un certo senso concordava con Welch, ma continuava a ritenere l’F-16 troppo soft per il CAS. Dati alla mano, egli dimostro’ che la cellula dell’F-16 presentava nel complesso un’area vulnerabile ai colpi da 23mm ben nove volte maggiore rispetto a quella dell’A-10, che saliva a tredici nel caso dell’A-7 Corsair II. Inoltre, sempre Fredericksen, sottolineo’ che i mezzi corazzati del Patto di Varsavia erano forniti di mitragliatrici pesanti calibro 12,7 e 14,5 e che i mitraglieri erano addestrati a sparare contro bersagli aerei. Inutile dire che armi come la Dshk, la NSV e la KPV potevano provocare seri danni ad aerei come l’F-16.

L’USAF sembrava assai poco convinta, tant’e’ che a partire dal 1987, inizio’ a trasferire un certo numero di A-10 a reparti di Controllo Aereo Avanzato (FAC). Questi Thunderbolt II furono ridesignati per l’occasione OA-10A. Quello che i vertici dell’aeronautica avevano in mente era convertire approssimativamente 120 Warthog in OA-10 FAC entro la fine del 1990 e sostituire il resto della flotta con gli A-16.

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A dispetto di cio’, l’US Army (e nella fattispecie il TRADOC) non sembrava avere particolari problemi con l’A-16 e con il concetto d’impiego del medesimo, che privilegiava il BAI, lasciando il CAS in secondo piano. C’e’ pero’ da dire che lo stesso esercito si lamento’ della lentezza di esecuzione delle missioni BAI. Secondo l’USAF, anche dopo l’individuazione dell’obbiettivo, la pianificazione di tali missioni richiedeva un tempo variabile dalle 24 alle 36 ore (cfr. il rapporto del GAO Status of the Air Force’s Efforts to Replace the A-10 Aircraft del 1988). Inoltre in quel periodo sempre l’esercito informo’ il Congresso che i limiti imposti dal Trattato di Key West (1947) erano superati e che avevano dunque il diritto di poter gestire una propria componente ad ala fissa espressamente dedicata al Close Air Support. Nel 1990 il Congresso accosenti’ quindi al trasferimento di alcune quote di OV-10 Bronco e A-10 Thunderbolt II all’US Army entro il 1991.

Nel 1991, l’allora Maggiore dell’U.S. army Micheal N. Riley pubblico’ anche una tesi che verteva proprio sulla possibilita’ di far transitare gli A-10 nell’esercito. Questa tesi, intitolata THE A-10 THUNDERBOLT AS AN ORGANIC ARMY ASSET, auspicava la costituzione di reggimenti di Attacco Aereo (Air Attack Regiment o AATR) con A-10 inquadrati all’interno delle gia’ esistenti brigate d’aviazione divisionale (Combat Aviation Brigade o CAB) o in alternativa di brigate d’aviazione specializzate nel supporto aereo (Close Air Support Brigade o CASB) equipaggiate con A-10 e AH-64. Qui di seguito le conclusioni dell’autore:

This study concludes that the Air Attack Team Regiment (AATR), as a part of the corps aviation brigade, is the option that provides the Army with the best utilization of the A-l0. The AATR combines the two main elements of a highly successful combat team-attack helicopters (AH-64’s) and A-l0’s-into one organization.

[…] The corps combat aviation brigade is the optimum location for the inclusion of the A-10 into the Army. Within the CAB, A-10 units should be organized with attack he1icopter units to allow optimization of planning and execution, command and contro 1, and training for AJAAT operations. The Air Attack Team Regiment (AATR) offers the corps commander the best choice for an AJAAT force structure. JAAT/AJAAT operations are and will continue to be a viable combat mission. From the inception of the JAWS tests to current combat operations in Operation DESERT STORM, the AJAAT has proven to be a devastating force. The members of the team, Army attack helicopters and Air Force CAS aircraft, are many times more lethal and survivable when employed together rather than separately.

The A-10 is and will continue to be a potent, survivable aircraft on the low-to-mid intensity battlefield throughout its service life. Joint tests, and most recently unclassified evidence from Operation DESERT STORM, indicate that when properly employed, the A-10 is a devastating, flexible, and survivable platform. The A-10 is a sustainable aircraft. The maintenance structure that currently exists in the Air Force is able to maintain the simplistic A-10 at extremely high operational rates. Transferring the equipment and training base along with the aircraft will ensure continued high availability rates. Classic Close Air Support (CAS) using fixed-wing air- craft is and will continued to be an Air Force mission. JAAT/AJAAT, on the other hand, using attack helicopters and A-10 aircraft is air maneuver, and is an Army mission. The history of the CAS issue has spawned the growth of the attack helicopter, and ultimately the JAAT/AJAAT concept, but at the expense of Air Force credibility within the Army.

Tuttavia, tali piani non ebbero alcun seguito. Nel Novembre 1990, infatti, il Congresso ordino’ all’Air Force di mantenere in servizio gli A-10 nel ruolo CAS. Tale decisione pose fine anche ad ogni piano di acquisizione degli A-16, che di li a poco venne abbandonato dopo la modifica di due prototipi. L’improvviso disinteresse era legato sopratutto a ragioni di natura geopolitica e tecnica. Nel primo caso, la caduta del Muro di Berlino e la successiva dissoluzione del Patto di Varsavia resero l’A-16 superfluo. Per quanto riguarda invece le ragioni tecniche, fu rilevato che il cannone, oltre a essersi rilevato poco soddisfacente (e assai inferiore al GAU-8/A), causava danni strutturali alla fusoliera.

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Fra i piani dell’aeronautica, c’era anche quello di ricapitalizzare la flotta dei vecchi A-7D attraverso un programma di aggiornamento che lo avrebbe portato allo standard YA-7F (o A-7D Plus). Le novita’ comprendevano un motore piu’ potente con postbruciatore (un P&W F100 o F110 in luogo del TF-41), cellula allungata, nuovo HUD, FLIR, RWR e altre modifiche che avevano lo scopo di incrementare le capacita’ CAS/BAI. L’A-7F avrebbe in teoria dovuto affiancare l’A-16 o l’F/A-16.

L’USAF, che proprio non ne voleva sapere dell’A-10, tento’ nuovamente di sostituire quest’ultimo con un’altra versione CAS/BAI del Fighting Falcon denominata F/A-16. Questa particolare versione doveva essere equipaggiata con un ricco corredo avionico che comprendeva ricevitore GPS, Digital Terrain System (DTS), computer di missione modulari e di un sistema per facilitare gli attacchi al suolo conosciuto come Automatic Target Handoff System (ATHS). L’Air Force prevedeva di portare a questa configurazione almeno 400 F-16C Block 30/32, ma il programma fu abbandonato nel 1992 in favore dell’acquisto di nuovi F-16C/D Block 40/42 con pod di navigazione e acquisizione AN/AAQ-13 LANTIRN. Questa decisione contribui’ inoltre ad affossare anche l’A-7F Strikefighter, mentre gli ultimi A-7D furono radiati dall’USAF e dall’ANG fra il 1991 e il 1993.

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Nel frattempo l’USAF era riuscita nell’impresa di far riequipaggiare il primo reparto di A-10 con F-16 allestiti per il close air support. Questo reparto era il 174th Fighter Wing della New York Air National Guard, che ricevette i primi Viper “CAS” nel Novembre 1988. Queste macchine, presto ridenominate F/A-16, esordirono operativamente durante l’Operazione Desert Storm nel 1991 armate di un pod ventrale GPU-5/A Pave Claw dotato di cannone a 4 canne da 30mm, bombe cluster e missili Maverick. L’abbinamento Viper/GPU-5 non fu pero’ dei piu’ felici tanto che i piloti dell’Air Guard si sbarazzarono rapidamente del succitato pod e tornarono ai bombardamenti in quota. Maggiori dettagli su F-16 e GPU-5/A potete trovarli in questa pagina.

A salvare il Warthog da una fine immeritata furono invece le ottime performance registrate durante la campagna aerea di Desert Storm. Per la cronaca, il bottino dell’A-10 fu il piu’ ricco fra tutti i modelli da combattimento che parteciparono alla campagna aerea in Iraq: 900 carri armati, 2000 veicoli, 1200 pezzi d’artiglieria e persino due elicotteri. Quattro macchine andarono perdute (tutte per colpa dei SAM). L’availability rate raggiunto nelle 8100 sortite compiute fu del 95.7%. Un record.

Insomma, all’indomani di ODS, l’USAF dovette guardare in faccia alla realta’ e finalmente ammettere che l’A-10 era effettivamente un aereo che meritava di far parte dell’aviazione tattica.

CAS USAF e ARMY: PRESENTE E FUTURO

Mentre la proposta del Maggiore Riley era in teoria fattibile, l’US Air Force non avrebbe per nulla al mondo ceduto i propri A-10 all’US Army. Con la fine della Guerra Fredda e la proliferazione dei conflitti asimmetrici e a bassa densita’, l’A-10 era infatti destinato a diventare un asset ancor piu’ prezioso e gettonato. Dalle operazioni nei Balcani della seconda meta’ degli anni Novanta, fino ai recenti interventi in Afghanistan e Iraq, il potente Thunderbolt II ha in effetti goduto di una seconda giovinezza. Non e’ un caso che fra il 2005 e il 2011 l’intera flotta di A-10 sia stata sottoposta al piu’ radicale programma di aggiornamento mai attuato sino ad allora (vedi l’upgrade Precision Engagement). Secondo i piani dell’USAF, questo modello e’ destinato a rimanere in servizio fino al 2035-2040.

Il suo posto dovrebbe essere preso dalla versione “A” del controverso F-35 Lightning II, ma sono in molti a dubitare del successo di tale provvidimento. Vedremo come si evolvera’ la situazione, anche tenendo conto della sempre piu’ massiccia diffusione di UAS e UCAS (Predator, Reaper etc). Nel frattempo l’USAF sta pensando di ridurre il numero di Warthog in servizio del 30%.

In merito alle altre piattaforme impiegate per il CAS, non e’ cambiato molto dai tempi di Desert Storm. L‘F-16C ricopre ancora il ruolo di “muletto” tuttofare, affiancando il ben piu’ pesante e capace F-15E. A cio’ vanno aggiunti i bombardieri B-52H e il B-1B.  L’efficacia di queste macchine e’ variabile, anche se negli ultimi decenni vi sono stati miglioramenti in questo senso grazie a nuove tecniche di targeting, cosi’ come all’introduzione di appositi pod di navigazione, puntamento e acquisizione (LANTIRN, SNIPER etc) e all’impiego di munizionamento di precisione come i missili aria-superficie (Maverick, HellFire, Griffin), le bombe laserguidate (introdotte per la prima in Vietnam) e a guida INS e GPS (JDAM). A queste vanno aggiunti i recentissimi mini e micro ordigni come le Small Diameter Bomb (SDB), concepite per ridurre al minimo gli effetti collaterali.  I costi, tuttavia, restano elevati, specialmente se prendiamo come esempio i teatri a bassa densita’ (Iraq,  Afghanistan, Cecenia etc), dove i bersagli sono per lo piu’ costituiti da veicoli leggeri come gli onnipresenti pickup Toyota, talebani in motociclette, oppure bunker, modesti caseggiati o piccole concentrazioni di truppe.

Uno dei problemi e’ che i Generali dell’USAF (ma non solo) continuano a prepararsi per la prossima Big War, salvo poi trovarsi puntualmente infognati, assieme ai colleghi di Army, Navy e Marine Corps, nei conflitti low density sopra descritti. Lo stesso si puo’ dire dell’USMC, che si trova spesso a fungere da secondo esercito, replicando di fatto molti dei compiti dell’US Army, magari in terre prive di sbocchi con il mare. La differenza e’ che, contrariamente dell‘Air Force, nel Corpo dei Marines il CAS e’ sempre stato un compito prioritario (per ragioni ovviamente operative, storiche e dottrinali).

L’attuale componente aerea d’attacco dell’aviazione dei Marines si basa su aerei VTOL AV-8B Harrier II, F/A-18C Hornet , ed infine elicotteri AH-1W/Z.  Nei prossimi anni i primi due verranno gradualmente sostituiti da circa 350 F-35B dotati di caratteristiche STOVL e da un’ottantina di F-35C da imbarcare sulle portaerei della US Navy. Recentemente sono stati acquisiti anche dei multimission KC-130 Harvest Hawk. Questi aerei, basati sul ben noto C-130 Hercules, possono svolgere missioni di trasporto, rifornimento in volo e persino attacco al suolo grazie ad un sistema di puntamento e acquisizione AN/AAQ-30 e ad un carico bellico composto da missili HellFire, Griffin e bombe di precisione.

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L’US Air Force ha in dotazione anche un certo numero di cannoniere volanti AC-130 e MC-130W, assegnate a due Special Operation Wing (SOW), ossia il 1st e il 27th. Queste macchine, a seconda della variante, possono essere armate con cannoncini automatici da 25, 30 e 40mm, obici da 105mm, missili HellFire e Griffin, piu’ piccole bombe di precisione come le Viper e le SDB (Small Diameter Bomb). Gli AC-130 svolgono in genere missioni di supporto di fuoco alle Forze Speciali statunitensi, ma in diverse occasioni si sono trovate ad appoggiare reparti regolari (vedere Panama, Desert Storm, Afghanistan etc). Le Gunship, grazie agli avanzati sistemi di acquisizione e puntamento e al tipo di armamento imbarcato, riescono a concentrare un tiro molto accurato anche in prossimita’ di civili e truppe amiche, ma sono lente e vulnerabili al fuoco di terra, e di conseguenza il loro impiego e’ spesso limitato alle ore notturne.

Per quanto riguarda l’US Army, la situazione e’ rimasta piu’ o meno la stessa. La colonna portante delle operazioni di supporto aereo e’ ancora affidata ai costosi elicotteri d’attacco. Con la radiazione del Cobra, completata nel 2001, e la cancellazione del futuristico RAH-66 Comanche avvenuta nel 2004, l’aviazione dell’esercito oggi vola unicamente sull’AH-64 Apache. A differenza dell’A-10, questo elicottero e’ stato pero’ continuamente sottoposto a numerosi programmi di aggiornamento lungo tutto l’arco della carriera. L’intera flotta di Army e National Guard e’ attualmente basata sul modello Longbow (AH-64D), introdotto nel corso degli anni Novanta. Queste macchine dovrebbero essere aggiornate alle recentissima variante “Echo”, meglio nota come Guardian, ma fra sequestration e i recenti tagli al bilancio, la situazione e’ per ora incerta.

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Ad affiancare gli Apache, nell’ultimo decennio abbiamo visto anche gli OH-58D Kiowa Warrior. Questi piccoli elicotteri da osservazione e ricognizione armata sono in dotazione unicamente alle unita’ di Cavalleria Aerea (Air Cavalry) e sebbene limitati in termini di potenza, velocita’ e payload, si sono distinti per il costante e puntuale appoggio ai reparti di terra. Durante le operazioni in Iraq e Afghanistan, gli OH-58D hanno letteralmente accumulato centinaia di migliaia di ore di volo, spesso operando a strettissimo contatto con unita’ terrestri USA e Alleate. La flotta dei Kiowa Warrior e’ attualmente in corso di aggiornamento allo standard “Foxtrot” (OH-58F), ma l’esercito sta pensando in un prossimo futuro di soppiantare questo modello con un nuovo elicottero dalle caratteristiche simili. Fondi permettendo, naturalmente. C’e’ anche chi pensa che i giorni per gli elicotteri scout siano contati e che questi mezzi spariranno in favore degli UAS. Anche in questo caso sara’ il tempo a dirlo.

A proposito di UAS, la vera novita’ dell’Army Aviation riguarda la recente introduzione dei MQ-1C Grey Eagle, inquadrati nelle Combat Aviation Brigade (CAB) divisionali. Ad ogni CAB verra’ assegnata una compagnia denominata Extended Range Multipurpose (ER/MP) equipaggiata con 912 General Atomics MQ-12C Grey Eagle.

Introdotto operativamente in Iraq nel 2010 nell’ambito della Task Force ODIN (Observe, Detect, Identify, and Neutralize), l’MQ-1C e’ un UAS classe 1,5t con un apertura alare di 17 metri per una lunghezza di 8, capace di restare in aria per un periodo massimo compreso fra le 24 e le 36 ore. Questo velivolo e’ equipaggiato con un’avanzata torretta optronica Raytheon AN/AAS-53, conosciuta anche come Common Sensor Payload (CSP). La torretta, montata nella parte inferiore del muso, contiene una videocamera a intensificazione con zoom per la sorveglianza diurna e notturna, un laser spot tracker (LST), un designatore/puntatore laser e infine un telemetro laser. Altro pregiato equipaggiamento avionico previsto per l’MQ-1C e’ il radar per la ricognizione tattica AN/ZPY-1 STARLite della Northrop Grumman. Questo sistema opera in due modalita’: SAR (ad apertura sintetica con funzioni Strip e Spot) oppure MTI (Moving Target Indicator – evidenziatore di obiettivo mobile), che e’ poi una delle caratteristiche piu’ interessanti del sistema STARlite. In poche parole la funzione MTI consente di utilizzare la cancellazione degli echi di ritorno da bersagli fissi in modo che vengano mostrati solo ed esclusivamente gli oggetti in movimento. Questa funzione permette di avere un quadro pu’ chiaro dei movimenti che avvengono a terra. Il sistema MTI del STARLite puo’ a sua volta lavorare in due modalita’: GMTI (Ground Moving Target Indicator) e DMTI (Dismount Moving Target Indicator). Mentre il primo e’ ottimizzato per il tracking di veicoli, il secondo e’ invece e’ nato per l’individuazione e la scoperta di uomini e truppe appiedate.

Altra cosa interessante dell’MQ-1C e’ che puo’ essere armato con missili HellFire e piccole bombe guidate. Lo straordinario loitering time rappresenta inoltre un altro graditissimo plus. Vale anche la pena di ricordare che il Grey Eagle puo’ essere controllato a distanza dal cockpit dei nuovi AH-64 e OH-58f (vedere il concetto Manned-Unmanned).

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Per il futuro sarebbe auspicabile l’adozione da parte dell’U.S. Army di un monomotore per impieghi CAS/COIN derivato da addestratori turboelica tipo Super Tucano o Texan II, quest’ultimo, fra l’altro, gia’ in dotazione all’U.S. Air Force e alla U.S. Navy. Aerei di questa classe potrebbero benissimo affiancare e in parte sostituire gli AH-64 Apache, mezzi che in termini di gestione, manutenzione e impiego sono incomparabilmente piu’ costosi. L’adozione dei suddetti turboprop consentirebbe inoltre di ridurre l’attrito della flotta ad ala rotante destinata all’attacco e alla ricognizione armata.

L’Air Force in questo senso aveva aperto la strada a questa categoria di aeromobili grazie al programma LAAR (Light Attack/Armed Reconnaissance), avviato nell’estate del 2009. L’obbiettivo era quello di procurare un centinaio di piattaforme CAS/COIN nel piu’ breve tempo possibile. Vi era inoltre anche un secondo programma, il LAS (Light Air Support), simile al LAAR, ma finalizzato all’acquisto di 20 macchine per conto all’Aeronautica Afghana. Come al solito abbiamo assistito ad un continuo e fastidioso susseguirsi di polemiche, ritardi e battaglie legali. Alla fine il programma LAAR e’ stato congelato, mentre il LAS ha iniziato ad ingranare solo in questi mesi. Del resto, come ha scritto Defense Industry Daily lo scorso 6 Agosto:

The USA needs a plane that can provide effective precision close air support and JTAC training, and costs about $1,000 per flight hour to operate – instead of the $15,000+ they’re paying now to use advanced jet fighters at 10% of their capabilities. Countries on the front lines of the war’s battles needed a plane that small or new air forces can field within a reasonable time, and use effectively. If these 2 needs are filled by the same aircraft, everything becomes easier for US allies and commanders. One would think that this would have been obvious around October 2001, but it took until 2008 for this understanding to even gain momentum within the Pentagon. A series of intra-service, political, and legal fights have ensured that these capabilities won’t arrive before 2015 at the earliest, and won’t arrive for the USAF at all.

Come mai non sono per nulla stupito? 🙂

La cosa tragica e’ che oltre ad aver avanzato la proposta con imbarazzante ritardo (ben 8 anni dopo l’inizio di Enduring Freedom), alla fine non sono riusciti a cavare un ragno dal buco. Se pensiamo che durante il Vietnam l’USAF riusci’ a introdurre ben tre modelli adibiti ad operazioni CAS (l’A-1, l’A-7 e l’A-37), le cose negli ultimi 40 anni sono decisamente peggiorate.

Ma la cosa piu’ deprimente e’ che quegli aerei l’USAF non li vedra’ mai. A proposito, di quale diamine di aerei stiamo parlando? Nel caso della specifica LAAR/LAS, e’ stata la brasiliana Embraer ad aggiudicarsi il contratto, grazie al suo eccellente EMB 314 Super Tucano, dove negli USA e’ stato ridesignato A-29B. Allo stato attuale sono risultano stanziati 427 milioni di dollari per 20 aerei, tutti da destinare all’Afghan Air Force. La linea di produzione e’ stata allestita presso l’aeroporto di Jacksonville, in Florida. Il Super Tucano ha in definitiva avuto la meglio sull’altro finalista, l’AT-6B Texan II.

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Qui sotto una scheda comparativa realizzata (credo) dalla Embraer (quindi non disinteressata, sebbene interessante).

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Come si evolvera’ la situazione non mi e’ dato saperlo, ma state pur certi che le polemiche sul Close Air Support e relative competenze continueranno a ripresentarsi a cadenza ciclica.

[1] Quesada nel 1944 fu comandante del IX Tactical Air Command a supporto della I Armata Statunitense, dove divenne famoso per aver dato un enorme impulso al close air support, introducendo nuove tattiche e migliorando la cooperazione fra forze di terra e forze aeree. Nel 1947, Quesada fu nominato primo comandante USAF del Tactical Air Command. Egli tento’ di convincere i vertici della neonata USAF a dedicare maggiori risorse al supporto dell’esercito, ma senza alcun apparente successo. Il pensiero USAF, dominato dal Strategic Air Command (SAC) e dai generali dei reparti da bombardamento, sembrava rigettare persino il concetto stesso d’interdizione. Le cose peggiorarono ulteriormente quando nel Dicembre 1948, l’allora Capo di Stato Maggiore dell’USAF Generale Hoyt Vandenberg, tolse ogni risorse aerea al TAC, che di fatto si trasformo’ in un minuscolo comando subordinato al neocostituito Continental Air Command (ConAC), che eredito’ aerei, uomini e reparti del TAC, cosi’ come dell’Air Defense Command (ADC). Disgustato, il buon Quesada rassegno’ le dimissioni.

[2] L’Ammiraglio John Thach a questo proposito ricorda un episodio in cui un gruppo di F-80 a corto di carburante chiese via radio a un FAC (Forward Air Controller) dell’Air Force di avere la precedenza su un reparto di Skyraider della Navy che si trovava gia’ nell’area. Come spesso accadeva, quegli F-80 erano armati in maniera insignificante: due piccole bombe da 50 kg ciascuno. Il pilota FAC, ridacchiando, rispose al caposquadriglia degli F-80: “Beh, prendete quei mortaretti e lanciateli da qualche parte laggiu’ nella strada perche’ sta per arrivare un bel po’ di roba grossa

Photo credits: USAF, US Army, Department of Defense, Embraer.

9 Risposte

  1. Ciao, ottimo articolo,di alto contenuto storico e tecnico,quella dell’A-16 o F/A-16,eh non la conoscevo…
    La vedo dura anche io per l’F-35 sostituire un mezzo come l’A-10,neanche il tuttofare Viper ci è riuscito figuriamoci un’ aereo stealth non credo convenga fargli fare missioni ad alto rischio sarebbe un costo troppo alto, come lo sempre pensata io per fare missioni CAS ci vuole un’aereo “economico” e robusto l’unico del suo genere è attualmente il Thunderbolt II, l’unico che si avvicina è il Frogfoot ma si parla di un mezzo russo…

    agosto 28, 2013 alle 2:46 PM

    • Parlando di jet, il CAS o lo fai in modo “hard” con aerei dedicati come l’A-10 e Su-25, oppure impieghi i soliti cacciabombardieri in missioni “hit and run”, lanciando ordigni di precisione.

      Ad ogni modo, t’incollo qui il parere di un pilota di A129 reduce dell’Afghanistan. E’ un commento che salvai tempo fa dal blog The Aviationist del buon David Cenciotti:

      “sono rientrato due settimane fa dalla mia seconda missione in Afghanistan,dove volo come pilota di A129 Mangusta.

      Ormai ho accumulato oltre 200 ore di missioni di guerra tra Iraq ed Afghanistan,per cui mi sento di garantirle senza paura di essere smentito,che non c’è nessun aereo in grado di lavorare “chirurgicamente” meglio di noi.

      Non c’è paragone tra il TM-197B del Mangusta,(750 colpi/min da 20mm con 200°/sec di brandeggio)asservito alla LOS del pilota oppure alla sight-unit(con un CEP max di 100mt),e qualsiasi cannone di caccia o CB,il quale,se dovesse cercare la precisione per sparare chirurgicamente all’interno di un villaggio,dovrebbe venire giù da 45000feet con un pitch di 90°…….semplice ,no?

      Gli obiettivi in Afghanistan sono gli uomini,non ci sono bunker,carri armati,centri radar,posti comando….solo uomini armati che corrono di qua e di là con motocilette sgarrupate.

      Quando passano i potentissimi caccia NATO per lo “show the force”,essi scendono dalle moto,si godono il passaggio come noi a Pratica,dopo risalgono in moto e riprendono il “lavoro”.A meno che non arrivi l’A10,essi sanno bene che l’aereo che lancerà la bomba che li nebulizzerà,non lo sentiranno arrivare.

      Ma se arrivano elicotteri da combattimento,le armi spariscono immediatamente,nessuno spara se può essere visto,sanno che vengono inseguiti anche a passo d’uomo fino dentro casa,che vediamo i teli sotto i quali si nascondono, sventolare col vento.

      A mia conoscenza mai un TIC(troops in contact) è terminato perchè è intervenuta una CAS. In Afghanistan si combatte per terra.I soldati a terra fanno la differenza,con elicotteri CBT pronti ad intervenire.Mi creda,neanche il minaccioso B1 gli fa paura,sanno che non ci sarà un bombing da tabula rasa…..vedrà che paura avranno dei nostri Ghibli. Io sto con i piedi per terra.”

      agosto 28, 2013 alle 3:19 PM

      • Bel commento del pilota Mangusta che fa capire anche che gli elicotteri d’attacco come Mangusta,Apache,Cobra,Tiger ecc. nel ruolo CAS siano molto efficaci a supporto dei Thunderbolt, l’accoppiata Thunderbolt e elicottero d’attacco è fenomenale,peccato ci sarà un taglio di numero nelle file dell’USAF …

        agosto 29, 2013 alle 10:23 am

  2. Francesco

    Post straordinario, complimenti davvero.

    Non avevo mai sentito parlare dell’A-16, non ho trovato immagini in rete, tu hai qualcosa?

    agosto 31, 2013 alle 12:17 PM

    • Aleks

      Ti ringrazio Francesco! Riguardo alle foto sull’A-16, no, purtroppo non credo di aver mai visto immagini di questo aereo, peraltro costruito in soli due esemplari, modificati partendo da vecchi F-16 Block 10 o 15.

      Peraltro gli unici F/A-16 operativi erano quelli del 174th FW citati nel post. Oggi questo reparto vola con gli MQ-9 Reaper.

      settembre 1, 2013 alle 12:45 am

  3. Ingraman

    Grande post! Ha aiutato a mitigare il mesto ritorno al “tran-tran” quotidiano. Ottimo lavoro.

    settembre 4, 2013 alle 12:24 PM

    • Aleks

      Mi fa piacere! Thanks! 🙂

      settembre 6, 2013 alle 9:13 am

  4. Pingback: Can we save the A-10? | SOBCHAK SECURITY - est. 2005

  5. massimo

    Ottimo articolo con un sacco di spunti interessanti. L’Usaf sta nuovamente cercando di far fuori A10 per sostituirlo con aerei molto più sofisticati e il congresso si oppone, il lupo perde il pelo ma non il vizio…

    agosto 1, 2014 alle 7:13 am

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